Storia del Beth Hakneset Ovadiah da BertinoroTutto iniziò negli anni Trenta. Alcune famiglie italiane salirono nella futura Israele e si stabilirono nell’area di Ramat Gan. Venivano da Torino, Trieste, Firenze, Ferrara, Livorno, Modena, Venezia, Roma e altrove. C’erano religiosi e laici, chi spinto soprattutto da ideali sionisti, chi dalla volontà di sfuggire alle persecuzioni razziste. Comincia così la storia della comunità degli italkim di Ramat Gan e del Tempio Ovadiah Da Bertinoro. A narrarla una delle sue protagoniste, Liliana Dalla Torre Formiggini, che ha voluto mettere per iscritto le vicende di uno dei primi nuclei italiani in Eretz Israel, allegando anche foto e aneddoti, per onorare la memoria del figlio Michele Dalla Torre (1979-2013).
“Questa Moshavà Italkit (Residenza italiana), come questo gruppo venne chiamato, si stabilì a Ramat Gan nelle vicinanze del Gan Shaul e della Via Maalè Hazofim, Via Arlozorov, Via Lean etc. Tant’è che la strada principale (Via Arlozorov) veniva anche chiamata scherzosamente ‘Boulevard des Italiens’,” scrive Liliana.
Tra le famiglie, che si insediano nella zona anche la famiglia Sinigaglia, fiorentina ma di origine ferrarese, discendente del grande Ovadiah da Bertinoro.
“Un’altra famiglia che abitava nelle vicinanze era la famiglia di Lidia Servadio arrivata nel 1939 da Firenze. I Sinigaglia assieme ai Servadio furono tra i promotori dell’iniziativa di costruire un Beth Ha-Kneset italiano,” prosegue Dalla Torre.
Così gli italkim si impegnarono per convincere il comune a consentire loro la costruzione del tempio, e raccolsero i fondi necessari. La posa della prima pietra avvenne nel 1972. Ci vollero anni e molti sforzi, ma finalmente nel 1989 nel nuovo edificio cominciarono a svolgersi le preghiere.
Una storia speciale è quella dell’Aron Ha-kodesh del tempio. Dopo aver utilizzato per vari anni un arredo prodotto da un artigiano locale, la stessa Liliana Dalla Torre Formiggini, insieme a Meir Minerbi e Ada Nissim, si mise al lavoro per trovare uno degli aronot portati in Israele da Umberto -Nahon qualche decennio prima.
“Furono così individuate delle casse che contenevano degli elementi che risultarono provenire dalla Yeshivà di Ponivetz di Bnei-Berak ed appartenevano all’Aron Ha-Kodesh di Moncalvo. La Yeshivà aveva avuto questo Aron Ha-Kodesh negli anni Cinquanta direttamente dalla Comunità di Torino, ma ad un certo punto l’aveva smontato e messo in casse che aveva recapitato alla Hevrah Yeudei Italia di Gerusalemme. Usando le fotografie di Umberto Nahon di come era l’Aron Ha-Kodesh quando fu trasportato in Israele, fu possibile (nel settembre 2001) rimontarlo, costruendo internamente un armadio per la custodia in sicurezza dei Sifrei Torah,” scrive ancora Liliana.
Tanti anni dopo, la comunità continua a ritrovarsi, non solo per le regolari tefillot, ma anche per eventi sociali in occasione di Purim e Yom HaAtzmaut, per Yom Hashoah, per bar e bat mitzvah, e altri eventi gioiosi.
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